venerdì, novembre 23, 2012
lunedì, febbraio 13, 2012
La relatività della normalità
Sono stata in Inghilterra a fare una mostra, ultimamente. Quando faccio qualcosa in Italia, anche di più importante o più impegnativo, giusto trovo in giro due segnalazioni striminzite. In questo caso, invece, sono usciti un po’ di articoletti, intervista alla curatrice e qualcosa persino - udite udite – nei giornali veri, quelli fatti di carta.
1_Se fai l’artista e ti soffi il naso a STRUMBURSY (o altro luogo possibilmente lontanuccio e con almeno una lettera strana nel nome), se ne parlerà di più di una personale in una galleria italiana (anche se magari è l'equivalente di fare una mostra alla bocciofila di Buccinasco)
Due giorni dopo l’inaugurazione io e l’altra artista abbiamo fatto un workshop a beneficio degli indigeni i quali, con ordine e gentilezza, hanno appreso le nostre tecniche e le hanno testate sul campo producendo lavori propri. I bambini sono stati ordinati e mi hanno ringraziato per essere andata fin lassù a insegnare loro delle cose così belle.
2_In Italia l’arte ce la suoniamo e ce la cantiamo tra di noi. Il panettiere non va alle mostre, il baker invece ci va e pure si sporca le mani. I miei nipotini si sarebbero aperti il cuoio capelluto a vicenda con il taglierino e avrebbero cercato di riparare il danno con la colla vinilica giusto per non venir puniti, ad esempio un giorno senza nintendo.
Appena arrivata in loco, i direttori dello spazio espositivo mi danno le chiavi di una casetta, mi danno i documenti per la vendita, mi chiedono le copie dei biglietti aerei per il rimborso spese. Gli dico che mi servono, devo tornare indietro, non so se prenderò l’autobus o il treno per l’aereoporto, e loro mi dicono: ma fai più o meno, così ci portiamo avanti e ti paghiamo al più presto.
3_Qui mi capita che un gallerista venda le mie opere, ma poi scopro che non è vero, non mi danno i soldi e il pezzo non è più nel loro magazzino.
Adesso veramente mi cade la mascella, ma non voglio dire che fuori di qui tutto è meglio, perché fuori di qui, ma non ovunque, tutto è normale.
Ogni tanto penso di vivere in un mondo che posso guardare solo attraverso una lente che produce aberrazioni, e poi ti abitui, è un attimo.
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domenica, novembre 13, 2011
Conversazioni indigene
Quindi registro le seguenti conversazioni:
-E io gli ho detto che avevo fatto le cose giuste, che me l’aveva detto il cuore e l’insegnamento del Cristo.
-Io di sicuro non le compro un paio di Hoogan, mia sorella ha detto che gliele regala lei per Natale e poi cosa se ne fa di due paia, bisogna mettersi d’accordo. Ma avranno il numero 28?
-Io finchè non mettono le lucine non mi sento lo spirito natalizio da sballo.
-Cosa vuoi farci? Devo tagliarle le braccia? No, dimmi tu cosa devo fare. Per adesso mi limito a non lasciarle il cellulare in settimana, però si sente inferiore ai suoi compagni di scuola. Mi sa che domani la porto dalla psicologa e se la vede lei. Te la consiglio: fa miracoli.
-Ma guarda ‘sto stronzo di un stracomunitario, sono tutti uguali. Io che ho fatto l’operaio tutta la vita, adesso guarda qui stai attento con quella bici rimbambito, torna a casa tua!
-Appunto, vorrei entrare in casa mia, ma devo entrare da questo portone e lei ci sta davanti.
-Ma guarda te, adesso anche gli stracomunitari abitano nelle case del centro sopra il negozio dell’ottico.
-Appunto, sono io l’ottico.
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12.11.2011 21:41
venerdì, agosto 19, 2011
Le scarpe delle donne
A un certo punto – non ricordo di cosa stavamo parlando – lui mi ha detto: ‘Ma che c’entra, tu sei un maschio’. All’improvviso mi sono sentita bene, pervasa da un sentimento cameratesco di appartenenza a una categoria. Poi ho pensato che fosse ok, ma era una categoria sbagliata. Io sono una femmina. All’improvviso ho riletto per scrupolo alcuni post a caso di questo blog fingendomi estranea ai fatti e ho capito che non era proprio chiarissimo il fatto che fossi una femmina, un maschio, uno scatolone o uno scolapasta (a parte un titolo con la parola ‘mestruazioni’ che potrebbe essere inteso in senso poetico se ce ne fosse uno). Quindi di rimbalzo è apparsa nella slide shot della mia mente visiva un’altra conversazione, questa volta con un’amica. Lei mi ha detto: ‘ Sai è un peccato, perché sei veramente carina, è che non ti valorizzi’.
Insomma, ho ripensato oggi a queste conversazioni perché ho scoperto che la maggior parte delle donne che conosco ha almeno 15 paia di scarpe (è una media e non conosco femmine ricchissime: fai tu).
Io, esclusi gli scarponi da montagna e le scarpe d’oro col tacco del matrimonio e le infradito della piscina ho 4 paia di clzature: 1 ballerine, 1 ginnastica estate, 1 ginnastica inverno, 1 stivali. Allora penso che senza volerlo ho sempre seguito la legge di non sottostare alla follia della donna (cit. Elio e le storie tese) e per questo un maschio mi considera uno dei suoi e una donna pensa che non mi valorizzi abbastanza.
In ogni caso vanno bene quelle che ho, dato che compro vestiti uguali da 10 anni, ma forse qualche problema ce l’ho. La mia amica Laura C. un giorno mi ha fatto scoprire il tubino nero e lei era felice che mi piacesse perché pensava mi sarei finalmente divertita a comprarmi degli abiti da donna. In realtà ho trovato un’applicazione pratica anche a quello: matrimoni, funerali e colloqui di lavoro, una specie di divisa delle occasioni pubbliche. Lei non è più felice. Comunque ho un’età in cui non ce la posso fare a stare con le felpe col cappuccio: faccio lo stesso effetto di un koala con la cravatta e sono intrappolata. Scopro ora cose che le femmine sanno dai 15 anni. Non ce la posso fare e basta.
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lunedì, maggio 16, 2011
London out
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London in
Chi dice che Londra è cara ha ragione, ma non è solo cara. Perchè puoi trovare tutto, e per tutto intendo TUTTO, a qualsiasi fascia di prezzo e a qualsiasi ora del giorno e della notte: cibo, case, abiti, carte fotografiche estinte, fiori, scatole, poltrone, locali, parchi, città, sobborghi, laghetti, centri di meditazione, burrata, incontri di box e corsi di birdwatching.
E d'improvviso, io che ho sempre riso di un paese con la regina, vedo l'Italia piccola, laggiù col canocchiale. In attesa di capire comecosaquandoperchè mi piace pensare che Londra sia vicina a Orio.
mercoledì, aprile 13, 2011
I vegetariani con le scarpe di pelle
Per fare un lavoro del genere devi aspettarti mille problemi e ostacoli, difficoltà e delusioni, grandi aspettative e tanto lavoro, tanto. Avere a che fare con finanziamenti governativi, studiare e studiare, fare test, inventare cose nuove, riuscire a risolvere casini, mettere insieme tante persone che vengono da mondi diversi, entrare nelle vite di gente che sta per morire.
Mi racconta che uno di questi ostacoli sta nelle associazioni animaliste che a volte bloccano il lavoro perchè fanno test sugli animali. E lì mi incazzo. Tanto. Io amo gli animali, non vorrei che ne sparisse nemmeno uno. Odio i cacciatori della domenica, odio gli allevamenti massivi. Ma porca vacca, se muoiono due topi e la mia vicina di pianerottolo no, penso che ne valga la pena. Mica son sadici, è gente che salverà una parte del nostro futuro. Mica si sta parlando di cosmetici. Mica si stanno facendo pellicce. Mi piacerebbe che questi amanti degli animali amassero nello stesso modo anche la gente. E si sottoponessero loro ai test, visto che amano tanto i topi.
Ho visto vegetariani con le scarpe di cuoio e borse fatte da bambini cinesi. Però col manico in bambù.
Che rogna!
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venerdì, marzo 18, 2011
domenica, febbraio 13, 2011
Tempo reale
Immaginavo una manifestazione piatta, tipo usciamo dalla messa, con quattro gatti. E invece no. Tanta gente (per una città piccola come Bergamo) e tantissimi uomini, oltretutto. Donne dai 2 ai 102 anni con figli, mariti, nipoti, colleghi. Qualche cane e alcuni caimani. Pentole sbattute. Cori allegri. Gente che non sopporta più. Sono felice.
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martedì, febbraio 01, 2011
Cose che non hanno prezzo
Tri tri tri tri - tri tri tri tri
Mi piace il rumore dei tasti sotto le dita, c'è chi mi fa i complimenti, a volte, per quanto vado veloce. Manco fossi una segretaria degli anni '50.
Fuori stagione poto rami secchi. Cerco clienti nella nuova città per abbandonare gradualmente quelli della vecchia.
Avrei voluto fare questa cosa piano piano, in punta di piedi, ma alcuni me l'hanno tirata fuori a forza, dai polmoni e dalle viscere.
Cosa? La sceneggiata.
Dire 'lei è un disonesto' a una persona rende ciechi per due minuti e ferma l'aria intorno. Il respiro della gente diventa curioso.
Ma poi ti senti leggera, leggiadra e leggendaria.
Con un lavoro in meno ma con la coscienza pulita.
Anche se non credo al paradiso, so per certo che l'inferno non deve essere ora.
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domenica, settembre 19, 2010
la normalità
Il necessario alla manutenzione dei nostri corpicini è installato e funzionante (cucina, bagno, letto e frigo nuovo). Nel frattempo le scatole cambiano di stanza, vengono svuotate e le mie quattro carabattole si guardano attorno come se fossero su marte, tra un attacco di panico e un po' di horror vacui. Una casa normale.
NORMALE. La normalità è un lusso incredibile da guardare con gli occhi di un bimbo che scarta i regali di Natale per chi ha vissuto in bilocali ricavati da sottotetti, cantine e magazzini, monolocali o menolocali vari. O forse è la cosa più esotica che mi è capitata ultimamente.
Ho ricominciato a mangiare carne in modo serio, i miei muscoli stanchi e ingolfati ringraziano. Non so quanto durerà. Ma fare colazione con le michette calde e il formaggio in giardino rimette a posto con il mondo e tutto sembra un po' più fattibile.
Sto prendendo delle abitudini e non ne ho mai avute. I miei liquidi stanno tornando al posto giusto e mi sento empatica con l'accelerazione di gravità. La scenografia è quella giusta, adesso tocca a me.
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mercoledì, maggio 05, 2010
Una giornata particolare
Nel pomeriggio decido che se voglio far qualcosa di serio con un lavoro che ho appena abbozzato, devo andare alla biblioteca specializzata, cioè quella del Museo di Scienze Naturali. Mi sembra un po’ piccola e piena di gente dall’aspetto strano: studenti di 50 anni? No, ricercatori. Trovo in 10 minuti tutto quello che mi serve ma la bibliotecaria si accorge che ho ancora un po’ di pepe al culo.
Venga, mi dice, la porto nei laboratori dei seminterrati. Ma come? Gentilezza, disponibilità e velocità in una persona sola?
Mi accompagna in una specie di paese dei balocchi. Appena entro mi presenta il tassidermista, il quale mi da i contatti dello scenografo e mi spiega come si fanno i calchi al pesce luna. Certo, senza un muletto è un po’ difficile maneggiarlo, ma tant’è. Lui parla mentre restaura un serpente imbalsamato e sì, parla di cose serissime e fantasmagoriche, ma dietro di lui occhieggia uno struzzo a cui sta rifacendo le penne cadute e io sorrido, è tutto surreale. Dipinge le squame del serpente una ad una, a volte senza neppure guardarlo. Non ha ragazzi di bottega, perché ai giovani non interessa scuoiare il leone morto allo zoo per poi metterlo nei diorama del Museo. Ai ragazzi non piace dipingere le pietre di cartapesta. Ai ragazzi non piace lavorare le resine perché puzzano. Mentre cerco di fare in modo che mi adotti, vedo una specie di cavallino sottoscala e pure un poco slogato. Quello, mi dice, si è estinto nell’Ottocento. È l’unico esemplare rimasto in Europa. Devo ridipingergli gli occhi e lucidargli uno zoccolo.
Ecco, adesso so che dietro uno spettacolo come il Museo di Storia Naturale c’è una persona che si impegna da tanti anni e che nonostante il mancato guadagno ha sempre scelto di non lavorare per i cacciatori. Il Museo l’ho visto tante volte, ci ho portato i nipotini, sono andata a farci lunghe sessioni di disegno, ma solo adesso mi sono chiesta chi ha fatto tutti quegli animali, quei paesaggi di finzione e quei fondali splendenti. Solo adesso inizio a divertirmi sul serio.
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lunedì, dicembre 14, 2009
10 minuti di anonimato
Ho un piccolo blog che leggono praticamente solo gli amici e chi non sa chi sono lo legge per quello che è, una manciata di micro raccontini lanciati in aria e caduti chissà dove.
Ho una scrivania con due computer e due telefoni, per risparmiare chiamo gli amici all’estero con skype. Punto. Forse sono una retrograda digitale, ma non ho la smania di comunicare al mondo cosa faccio ogni 15 minuti perché ho la certezza che non importi a nessuno e perché non voglio io.
Mi sono impegnata a fondo per essere la donna invisibile.
Ho diritto al mio grigio medio. Non voglio che nessuno sappia cosa sto facendo ora o cosa facevo alle elementari. Può essere utile, in molti momenti della vita.
Parafrasando Warhol, Bansky ha detto: Nel futuro ci saranno così tante persone famose che ognuno avrà diritto ai suoi 15 minuti di anonimato.
Hai proprio ragione. E sarà un bene inestimabile.
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domenica, ottobre 25, 2009
i misteri dei capelli dei passeggeri del treno
- Ma tranquilla un cazzo! Cioè, io pensavo che faceva freddo, invece fa caldo. Ma ti rendi conto che adesso sono in giro con due maglie e in più mi si è sciolta un po’ la lacca e mi si è rovinata una punta? Ho caldo, vieni qui, aiutami a tenere insieme questa ciocca.
Stanno andando a Milano in treno, e si siedono nel blocco sedili di fianco al mio, litigando per il posto finestrino.
All’altezza di Castellucchio, salgono sul treno Nicolas, sua madre e Pasquale, il fidanzato.
Nicolas è un bambino a cui sto immediatamente simpatica, perché vuole sedersi di fianco alla signorina.
- Piccolo buongustaio - dice Pasquale.
- Grandissimo stronzo - dice la madre.
Pasquale ha dei problemi con la valigia, la apre e ripiega il suo contenuto tentando di recuperare spazio. Nel frattempo la donna lo aiuta, e mentre piega un paio di pantaloni trova un capello e lo leva.
- Grandissimo stronzo - ripete - di chi cazzo è questo capello?
- Ma cosa vuoi che ne sappia, amore. Dammi quei pantaloni.
- Eh, no. Prima mi devi dire di chi è questo capello. È più lungo dei miei, ed è pure rossiccio.
La donna mi scruta. Eh, no, penso io. Io non vi ho mai visti, mi state rompendo l’anima, non riesco a leggere e adesso salta fuori pure che sono l’amante di quel mostro. Già mi immagino una di quelle bande di rapinatori che inscenano un litigio per poi rubarti la borsa. No, cari miei, non mi farò fregare. Stringo la custodia del mio hard disk, il biglietto, e fingo di dormire.
- Nicolas, togli i piedi dal sedile. Nicolas, lascia stare la signorina.
- Adesso mi devi dire di chi è questo capello.
- Ma che ne so, smettila di fare la stupida. Nicolas, non arrampicarti sulle borse degli altri.
- Vorrei fumare una sigaretta.
- Ma sono dieci anni che non si può fumare sui treni!
- E allora vado in bagno. Vieni con me?
- No, e poi Nicolas dove lo lasciamo?
Io ho gli occhi chiusi, ma so che mi stanno fissando. Ho un brivido sulle tempie. Adesso mi lasciano lì col figlio del demonio, poi mi accusano di rapimento oppure io scendo alla prima fermata e vendo gli organi del piccolo che, detto tra noi, ha la faccia di un vecchio, il bambino più vecchio del mondo.
- Signorina… signorina… scusi…
Pasquale mi scuote e io devo svegliarmi dal mio finto sonno. Senza ritegno.
- Signorina, mi scusi, noi andiamo in bagno un secondo, non potrebbe guardare un attimo il bambino?
Chiedo se potrebbe scappare. Mi rispondono di no, con quella faccia da agenti immobiliari quando ti dicono “è un affare”.
Mi sento un po’ acida mentre li vedo allontanarsi e guardo Nicolas, inebetito da un giochino del telefono cellulare. Ma dove vuoi che vada questo, mi dico, e mi concentro sulla coppia di punkettini.
Stefy è ancora triste per le sorti di uno dei suoi coni di capelli, ha perso forma.
- Amore, ti prego, sistemami, altrimenti mi viene una crisi isterica.
- Ma cosa vuoi che sia? Ma che ti frega? Dai Stefy ti prego non fare la fighetta, sei insopportabile.
- Io fighetta? Io mi sono fatta il primo piercing a Piadena, ti rendi conto, secondo te sono una fighetta? Sono impresentabile, se non mi aiuti non scendo dal treno.
Nel frattempo tornano i due fumatori degeneri.
- Comunque non me l’hai spiegato di chi è quel capello, sei un grandissimo stronzo, mica mi fai fessa a me.
- Nicolas, sei stato bravo?
- Sì, e che devo fare? Un po’ la signorina mi ha fatto paura.
Mi guardano straniti.
- Ma non lei. Lei è stata brava, non ha detto niente. Quella là, quella con gli aghi in faccia.
- Ma chi ha gli aghi in faccia?
- Quella là - e indica Stefy - lei continua a urlare e mi disturba. E poi mi fa paura.
- Eh, ma sai, Nicolas, devi avere pazienza. Un giorno anche tu sarai grande e potrai scegliere se diventare un pazzo rincretinito oppure un grande uomo, magari un banchiere, come tuo padre.
- E daje co’ ‘sto padre… non lo vede da due anni, adesso suo padre sono io.
- Guarda, Pasquale, hai veramente rotto i coglioni anche tu. Mi devi spiegare da dove viene quel capello e poi tu sei un operaio, t’ho raccolto che quasi non parlavi italiano, t’ho fatto diventare un essere umano io, quindi Nicolas me lo gestisco io e tu stai zitto, e riaprirai la bocca solo per spiegarmi quella storia del capello che ho trovato nella tua valigia.
- Ammazza che stronza…
Forse vivo in un mondo parallelo.
martedì, settembre 15, 2009
pm al quadrato
è come se in testa avessi sempre rumore di calabroni
lasciarmi andare è un traguardo che raggiungo solo se la vita mi concede abbondanti preliminari
le immagini affiorano, restano a galla il tempo per registrarle e poi riaffogano
mi infilo il gommino della matita nell'ombelico: ci passa
ho ancora un po' di gesso nei capelli
la cartavetrata non ha poesia
focaccia con crescenza e melanzane e grana
andrea mi porta in giro e io fingo di essere una valigia piena di cazzate
mercoledì, aprile 08, 2009
Mai dire cose...
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mercoledì, febbraio 25, 2009
miseria nera
Etichette: solitudine a manetta
lunedì, gennaio 12, 2009
L'amour est un oiseau rebelle - II
Etichette: happy life
giovedì, novembre 20, 2008
il futuro, il presente, la metereopatia
Ho il salottino pieno di quadri a metà, la mostra si avvicina ma non ho ancora quagliato, ho l’ansia a turbina. Forse per via dei soldi che non ci sono mai e alla mia faccia da grafico free-lance stanno venendo le rughe della paura. Pensieri, pensieri. Ho ricominciato a mandare curricula-curriculì di qua e di lì, ma nessuno risponde. Ok, li ho mandati da due giorni. Però. Uffa. Sono inquieta come una zanzara, mi sembra di far rumore anche mentre sto ferma. Mentre faccio altro, penso alla mostra, e mentre faccio i quadri penso ai lavori possibili alternativi che potrei fare. Risposta dal fondo del cuore: nessuna. I disegni prendono forma ormai indipendentemente da me, si fanno da soli, si modificano, sono figli ormai grandi che hanno preso la loro strada.
In realtà è questo: mi immagino vecchia con le dita a punta di grafite. Ma ADESSO ho l’ansia vera che questo potrebbe non succedere. Quindi mando curricula-curriculì.
Una sola risposta mi è arrivata al primo colpo: signorina, il suo curriculum è sovradimensionato per le nostre necessità. Ma che cazzo di ragionamento è? Se te l’ho mandato è perché ho letto quello di cui hai bisogno, e penso di poterlo fare. Cosa vuoi? Che sappia fare meno di quello che mi chiedi così non mi paghi 3 mesi per insegnarmelo? Mi sembra veramente assurdo. C’ho trent’anni, mai potuto permettermi di fare stages, mica incomincio ora.
Qualcuno vuol darmi dei soldi, per favore? Io in cambio produrrò quello di cui ha bisogno.
Sembra semplice, vero?
Esco un attimo, vado a prendere un po’ d’aria.
Anzi no, finisco il quadro.
Magari preparo le crocchette di patate.
Leggo il Corriere.
Disegno.
Scrivo un post.
Lavo i pavimenti.
Ricomincio a disegnare.
Butto il polpo che l’acqua bolle.
Metto i Morphine. Ecco cosa mancava.
Continuo a disegnare.
Continuo a disegnare…
sabato, ottobre 18, 2008
le cose, le pecore, insonnia
Tavolo in cristallo che serve per fare i disegni con la luce sotto; le sedie per gli amici e appallottolare i vestiti; la scrivania più piccola del mondo come le segretarie anni ‘30, computer sopra di essa e candelabro e posacenere, tecnigrafo con disegni di un mese fa, carta di tutti i colori e quasi tutte le dimensioni e grammature, libreria pesante che si sta sfondando, valigetta del trapano, CD ancora dentro i sacchetti della spesa, libri impilati che fanno da penisola alla scrivania più piccola del mondo, matite e penne in tutti i colori, scatola con cose non archiviabili se non nella scatola, quadri finiti, a metà, degli amici, lampadario trovato qui, cucina frankestein bianca, lavandino di Alice, lavatrice nuova, stendipanni della ferramenta di Niguarda, i coltelli dentro la valigetta dei coltelli ma alla fine uso solo la mannaia e il sottilino, pensili così così, pentole arrabattate, frigorifero sempre di Alice, cibo variopinto, piatti bianchi, vestiti mediocri, libreria che cade a pezzi, libri troppi, mensole sgangherate, televisione rotta, tavolino, due balconcini, campanellino suicida rampicante, letto con fidanzato in fase rem arrotolato come un arrosto succulento dentro le lenzuola, che non lo posso svegliare, son le 4 del mattino.
Mi servirebbe solo un po’ sonno nella casa dell’amore. Le pecore non le so contare.
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martedì, settembre 23, 2008
settembre andiamo, è tempo di migrare
Non si trovano più parcheggi, mi telefonano 100 persone al giorno, tutte le gallerie devono fare i cataloghi, tutti gli amici vogliono uscire, mi arrivano le e-mail persino dal GS. Poi c’è il film festival, MiTo, music across, la settimana della moda, l’apertura delle gallerie congiunta e fino a mezzanotte. Vorrei vedere tutto, uscire con tutti, lavorare ordinata. Ma non si può. Allora seleziono, col rischio di passare per stronza. È come avere un bigino del mondo e alla fine cedo, e John Zorn e Marc Ribot e Lou Reed me li voglio vedere.
Milano, per finta, è comoda.
A Milano, se vuoi stare una sera a fare le coccole a Monsieur Zimbarò o cucinare per gli amici belli, sei tacciata di sedentarietà e vecchiume. E poi, un sacco di volte, io lavoro, di sera. Allora diventi la pazza in carriera, neanche quello va bene.
Milano ti offre tantissime cose, ma è un po’ come le ragazze che lo fanno per finta.
Milano è una profumiera.
Milano è una brutta bestia piena di lucine.
Milano è tornata dalle ferie con la rogna, quest’anno. I proprietari del bar dove andavo tre anni fa hanno ammazzato a sprangate un ragazzo giovanissimo. Un amico di amici si è svegliato un giorno e ha accoltellato delle persone a caso. Il parrucchiere nella via di fianco prende a calci nel sedere una donna vestita di stracci. Una bambina da sola chiede soldi al semaforo. Non c’è più la coda al supermercato. I vecchietti rovistano tra la spazzatura del mercato. Per strada non ci sono più i milanesi nervosi che non sanno guidare, ma mine vaganti ripiene di cocaina. Le mamme sbattono i figli su e giù dalle auto in terza fila, si lamentano del costo dei libri e poi regalano loro dei cellulari carichi per un anno. Signore con fili di perle fanno la fila al portone della mensa dei poveri. Uno dei miei datori di lavoro (notoriamente ricchissimo) ha fatto finta di non vedermi mentre si provava una camicia da Oviesse. Al bar della stazione centrale i poliziotti bevono il caffè, a gruppi di tre o quattro, sentono “al ladro!” e molestano un ragazzo che stava facendo i biglietti. Il ladro vero scappa e si fanno rifare i caffè, gratis, perché si erano freddati. Ho chiesto in un locale di bassa lega se avevano bisogno di personale per la pausa pranzo e mi hanno detto di mandare il curriculum via mail.
Sto pensando (ciclicamente ogni due anni) ad emigrare.
Ma stavolta non da Milano, proprio proprio dall’Italia
giovedì, luglio 10, 2008
italiena
Me lo diceva la nonna che uno è quello che mangia da piccolo. E ci resta. Anche se la vita poi ti offre cose bellissime ed elegantissime, il nucleo originario non stenta a svelarsi e riproporsi neppure nelle situazioni più chic. Però un pochino ci avevo creduto.
Invitata alla mostra in Francia, in località elegante di passeggiate sulla promenade, tra i profumi della provenza e le residenze pensionistiche dei pittoroni del secolo scorso, mi immaginavo chissà che. Non fraintendiamo: la mostra è andata benissimo e la galleria era bellissima spaziosa e luminosa, sono stati tutti gentili e ho mangiato e bevuto come una principessa. Io e gli altri artisti siamo stati alloggiati in un’istituzione d’arte famosissima, dove vanno a studiare e insegnare persone da tutto il mondo.
In questo clima multiculturale, dopo il giardino da mille e una notte, dopo il padiglione delle esposizioni chilometrico, dopo l’ingresso in sassi della spiaggia, c’è una scaletta che porta in un corridoietto, pieno di porticine che entrano nelle stanzine. Ci hanno dato le chiavi di una di queste particole frattali del sontuoso edificio, ed erano ampie come il mio ripostiglio a muro, sporche da far impazzire anche il più unto dei lercioni, e appena mi sono seduta sul lettino per disfare la valigia, una gamba si è rotta e sono finita a terra. Il giorno dopo hanno fatto finta di aggiustarmela con la colla pritt, e quindi si è rotto tutto di nuovo. Ho dormito col materasso per terra e portato il letto nel corridoio, ho comprato un detersivo ma non c’è stato niente da fare, il grasso di mesi non si può levare così. Sognavo di avere con me il saldatorino e dormire di nuovo nella polvere e nella segatura del mio studio, quando ho incontrato una pulce e dei capelli, che ho raccolto dal materasso e volevo buttarli in bagno, ovviamente in fondo al corridoio, ovviamente misto e senza alcun tipo di pulizia dai tempi della presa della Bastiglia.
Un po’ disperata ho capito che non sarei mai riuscita a far niente lì, quindi la sera, con l’ultima sigaretta, prima di dormire, andavo a far pipì sotto la murraia paniculata, accanto all’allamanda cathartica, di fronte all’aristolochia gigantea.
Ma il mio preferito è stato il nocciolo. Come ai vecchi tempi.
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martedì, maggio 06, 2008
venerdì, aprile 18, 2008
incazzatura in differita
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se credente ora
che tutto sia come prima
perchè avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
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martedì, aprile 15, 2008
la servitù non è più quella di una volta
Mi ha portato a sedere sul flycase nel magazzino adiacente la cucina del catering. Lì, con la faccia affranta e i muscoli in preda all’acido lattico, ho ricevuto porzioni più che dignitose di pasta calda e gustosa, dolci raffinati e calorici e grappe stappate prima dell’etichettatura per mano di fattori gentili, sani, mangioni, ridanciani, ubriaconi e fumatori. Con loro, appunto, ho bevuto, mangiato e fumato, ma soprattutto discusso delle sculture a cippa di minchia che fanno sui filari e sul dubbio che il titolo della mostra fosse tratto da Rimbaud o Verlaine. 5 a 2 per Rimbaud, e giù di grappe profumate.
Là fuori c’era qualcuno che mangiava una lumachina parlando della qualità della servitù. Io penso che sia veramente ottima, meglio di una volta.
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lunedì, febbraio 25, 2008
manifesto
Questo blog non ha velleità letterarie in quanto non so scrivere.
Questo blog racconta solo cose vere e i riferimenti a persone e luoghi è assolutamente mirato e fedele.
Quindi, questo blog è assolutamente da intendersi come sproloquio della sottoscritta.
Non contiene verità necessariamente valide per altri.
Questo blog sa di interessare a pochi, e gli sta bene così.
Questo blog va giù come un Fernet Menta ghiacciato.
Questo blog cerca di parlare di alcune cose belle della vita.
Quindi, questo blog parla di melanzane, Palermo, Milano, vestiti di nozze, scamorza, posateria, mostre, pizze, incontri, lavori in corso, scatole, concerti, cinismo, vita notturna, feste, stampatori, infanzia, stigghiola, figli degli amici, amici suonatori, amici lontani, amici vicini, genitori degli amici, parenti degli amici, storie, piumoni, libri, materiale edile, burrata, traghetti, soldi, Val Brembana, metropolitana, quadricromie, vicini di casa, phon della Imetec, compleanni, studi, tapparelle, neon, anni che passano, matite colorate, ripostigli, lavandini, cazzate, polenta, cozze, treni, trasferte, traslochi…
Se a qualcuno non piace, prego cliccare “blog successivo” in alto sulla barra o qualche link umilmente consigliato.
E non ho intenzione di tornare sull’argomento.
Etichette: era meglio se facevi un vaso di fiori
lunedì, febbraio 04, 2008
mercoledì, gennaio 30, 2008
torton wedding
E quindi è andata. Mentre noi non abbiamo ancora capito come abbiamo fatto a fare in tempo ad andarci, a trovare un vestito, a trovare il regalo, loro si sono sposati. Alice fuma e beve fuori dal Mono appoggiata a una macchina. Camel light e rum con ginger ale, normale, direte voi, però pare ci goda a bere e fumare con un cerchietto d’oro al dito. Che erano bellissimi, bianchi e rossi e neri, lo vedete anche voi. Vivienne Westwood e vellutino nero, calze e tulipani rossi.
Al comune di Tortona c’erano tutti, gli zii della Sicilia, i coinquilini di Milano, i compagni delle superiori e i compari delle notti, i batteristi e i compositori, le sorelle le cugine, le mamme luccicanti e le nonne commosse, i padri finto duri, le comari emozionate, gli storici parmensi, gli amici da Berlino, Londra e Parigi.
Alla festa c’era di tutto, cibo vino e allegria, vestiti dai colori puri (Magenta 100, ciano 100, giallo 100, nero 100, verde televisione), occhiali bicolori, gilet di pelliccia, ori siciliani, gonne a paralume, t-shirt, scarpe turchesi, bolerini vermiglio, minigonne e tacchi, completi riservati piemontesi, capigliature dal brizzolato al new punk, lacrime e grida agli sposi.
La Rekkia, Borisone, CarloCap, FantaLau, Memoletta, Zibi, Landre, Cruccu, Milton, Doktor, Manetta & Friend.
Il nostro tavolo sembrava una cena di quelle belle in Gluck col tavolo da 12 e gli amici cari, che tante ne abbiamo fatte insieme, però stavolta Alice stava con Sandro ad un altro tavolo e a volte smettevano di limonare in un angolo e venivano a trovarci.
Evidentemente scossi dal delirio emotivo e alcolico, adesso stanno riprendendo una specie di vita normale, cercando di far entrare nel monolocale dell’amore tutti i regali compreso un piccolo tender per remare romantici e buttare le cicche nel mare.
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domenica, gennaio 20, 2008
mercoledì, gennaio 02, 2008
and the winner is...
"Ti prego prendi me, non ce la faccio più"
Io non sono molto rigida, e in cuor di mamma volevo dar asilo a tutti, ma poi ho pensato che magari la pianista col canarino potevo evitarla. E anche il batterista. E anche il cuoco cocainomane. E pure lo studente troppo giovane, la maestra troppo triste, l'infermiere pazzoide, l'ingeniere che dice che la mensola del bagno è sovradimensionata, la commessa che discute la disposizione dei pensili in cucina. E allora ha vinto lui: Burak, il programmatore turco.
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mercoledì, dicembre 19, 2007
MISS O MISTER PACINI 2008 parte I
pianista assassina parmigiana: sguardo freddo, guanti di pelle, rigidissima, vuol venire col pianoforte e il canarino
maestrina pugliese: tenera, un po' libro cuore, innamorata da subito della casina, vuole fermarsi 2 anni
programmatore turco: simpatico, caffè e sigarette, viaggiatore, starà pochi mesi, tranquillo, simpatico
impiegato napoletano: continua a darmi appuntamenti per vedere la casa e non è mai passato
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martedì, dicembre 18, 2007
sono un disastro
Ho un trapano nuovo un lampadario bellissimo una libreria capiente: ma niente. Non ho tempo neanche per guardare le scatole che continuano ad ammonticchiarsi in zone diverse a seconda dell'umore. Hanno vita propria, un giorno parleranno e mi chiederanno l'affitto. La pianta del mio appartamento è l'esatta immagine della mia vita in questo momento. Disorganizzazione, impossibilità.
Lavo le tazze in un catino, lavo i piatti nella vasca. Questo mi costringe a pulizie chirurgiche e ho il bagno sempre nuovo e splendente. C'è chi ha il salotto buono, io farò cenette a due nella vasca. Devo chiedere a Doktor un stage per l'organizzazione del ripostiglio. Il letto è ancora a terra, come una zattera di salvezza agli orrori dell'universo, alle tragedie e alle malattie. Monsieur Zimbarò prepara pasticcini sotto il piumone. Esce di rado, di solito per fare il caffè. Ha i capelli a moquette e non sarà mai calvo. Ha un sacco di tatuaggi che tento di far scomparire. Fanta Marco a volte arriva nell'altra stanza e non gli ho comprato il pentolino per farsi il tè. Presto dovrò trovare un inquilino fisso per qualche mese almeno. Domani iniziano le audizioni per miss o mister Pacini 2008. Si spaventeranno per il delirio, e così avverrà selezione naturale: chi ha poco spirito d'immaginazione salterà giù dal balcone del 5° piano.
Luminoso, ascensore e portineria. L'anno nuovo arriverà. Ricostruire.
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giovedì, ottobre 11, 2007
L'amour est un oiseau rebelle
Quando due persone si incontrano e si incantano e si incastrano si dovrebbe organizzare qualcosa. Del tipo: per la prima settimana lasciarli a letto sotto un piumone bianco senza farli uscire. La Repubblica Italiana dovrebbe predisporre un catering apposito di caffè, sigarette e cibo leggero da dispensare a richiesta.
La Regione potrebbe organizzare un ufficio di stagisti che sostituiscano le loro presenze nei rispettivi luoghi di lavoro. Un maggiordomo in livrea dovrebbe dirigere il tutto e capire quando è il caso e quando no, magari rispondere ai loro telefoni e dire: "La signora è impegnata in un viaggio nel Paese dei Grattini, le faremo sapere".
Penso che sì, bisognerebbe fare qualcosa, anche solo per quella settimana di grazia.
In questo modo le persone in questione potrebbero riprendere velocemente la padronanza dei loro tratti somatici e debellare il principio di una paralisi da sorriso prolungato.
Da una diecina giorni a questa parte ho delle occhiaie che mi sembrano persino affascinanti e le gote rosse come Heidi. Sono consapevole di essere disgustosa agli occhi dei più, abituati alla mia letargia e alla sindrome della melancolia da sottobosco autunnale.
Ma sono quasi dieci anni che non mi succedeva una cosa del genere, e in virtù di questo fatto me ne frego altamente. Ritorno appena posso, a tarda sera e dopo le mie solite giornatacce, sotto il piumone bianco ripetendomi: domani usciamo. Sì, domani. Frrr...
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giovedì, settembre 13, 2007
medioevo a niguarda
Vivo nei feudi degli amici ma aspetto un momento per iniziare un processo di organizzata industrializzazione.
La transizione tra i due stadi mi sembra eccessiva, se proprio lo devo dire. Non ho idea di come possa andare avanti la baracca, e allora continuo a disegnare come i miniaturisti chiusi in un convento, accompagnati dalla certezza che ci sarebbero stati dei posteri.
Resto zitta circondata dai miei incunamboli. Aspetto che qualcuno venga a bussarmi in testa dicendomi che è passato. Nel frattempo mi ricordo perfettamente di ogni momento passato da sveglia con T. e nonostante questa lucidità continuo a volergli bene. Sì sì, è proprio il Medioevo, e non vedo luci baluginare, laggiù. L’unica cosa certa è la mia Molesta Moleskine, che consulto in cerca di oracoli che in ogni caso non mi posso scrivere da sola. Svegliarsi e non sapere dove si sta dormendo senza essere commessi viaggiatori non va bene.
Dopo il primo caffè e la prima camel capisco che sono a casa dell'amica L.C. cuore d'oro che mi consola con l'amaro quando torno la sera. Il terrazzino guarda il quartiere Niguarda: mi piace molto, e anche i suoi abitanti. Le donne mi sembrano pratiche e simpatiche, gli uomini in genere sono alti, grandi, baffuti e tatuati. Donna Fugata mi consola. Medioevo, bianco fresco e matite.
giovedì, agosto 23, 2007
palermo 3 - riflessioni
Sta di fatto che appena arrivo a Palermo mi sento sempre a casa. Strano, molto strano, dato che sono cresciuta in Ridente-ameno-paesino-delle-prealpi-orobie.
Palermo sta al mondo come i ricci al mare: con una dose di calibrata astrazione e fantasia ne distilli il sapore essenziale.
Palermo è astratta.
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martedì, luglio 31, 2007
facile abbindolarmi - basta poco
I maschi tutti: abitano fuori provincia, sono già in vacanza, hanno l’ernia, sono al lavoro, mi hanno chiesto “sì, ho capito, ma di sera cosa fai?” e fanno finta di non vedere la mia faccia pietosa quando dico che devo traslocare. Perché io sì, ne ho fatte di facce pietose, a destra e a manca, stamattina anche con gli sconosciuti offrendo 10 euro per sollevare un tavolo. E anche perché a me, di quelle cose femministe tipo “faccio tutto io”, non me ne frega proprio niente. Mi piace farmi aiutare, mi piace farmi offrire le cene e si, adesso lo dico, mi piace anche che qualcuno mi apra la portiera dell’auto. Mi piace da morire che qualcuno pensi di doversi prendere cura di me anche se la maggior parte delle volte poi succede il contrario. Ma è una tensione a, un allungamento verso. E invece no. E poi mi sgridano, perché sono vestita come un marine e coi bei capelli che ho mi faccio sempre la coda e porto scarpe da trekking e oddio, sì, me l’hanno detto: tu non ti sai valorizzare. Ma come ce la porto la scrivania di sotto, coi tacchi e la minigonna? E che è? Un film di Russ Meyer? Non voglio diventare una di quelle pazze che continuano a pensare che gli uomini di qui e le donne di là e blablablabla. Perfavore...
Infatti, appena formulo questo pensiero, magia, è spuntato l’amico Frrr, l’amico più nuovo che ho.
E ha sollevato il tecnigrafo e si era portato pure i guantini con la gomma, due paia, uno anche per me. Qui ho pensato davvero che uno su mille allora esiste, e quel paio di guantini in più mi sono sembrati subito un mantello steso su una pozzanghera.
E vi ha salvati tutti, bastardi!
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martedì, luglio 24, 2007
focu di raggia
L’amuri miu è galera
Ora si ‘ncatinatu ‘nta sti ranni vaji
Non fu pi dinaru
Ne’ pi dispettu
Focu di raggia a lu pettu
Raggia
Allura dimmi tu
Dimmi dimmi com’è?
Fossi fossi pirchì
Avi la vesti stritta
Ca ci avvampa, maliritta!
Allura dimmi tu
Dimmi dimmi com’è
Fossi fossi pirchì
‘nte minni ventu furria
e ‘ntra li cosci mavaria
Pinsannu a tia
Passu li me jurnati
Sula dintra stu lettu abbruciu ju
Lu cori to’ è marturiatu
È ‘ntrubbulatu
Idda ti ferma lu ciatu
Raggia
Allura dimmi tu
Dimmi dimmi com’è?
Fossi fossi pirchì
Avi la vesti stritta
Ca ci avvampa, maliritta!
Allura dimmi tu
Dimmi dimmi com’è
Fossi fossi pirchì
‘nte minni ventu furria
e ‘ntra li cosci mavaria
lunedì, luglio 23, 2007
life in boxes
Di tutte le case in cui ho vissuto (anche solo per breve tempo) conservo la pianta e l’indirizzo postale preciso, da quella in cui sono nata a quella in cui vivo ora.
Tra poco potrò fare un libro di 200 pagine, probabilmente.
Solo dalla prima a Milano in poi:
Milano, via Cima
New York, Madison Avenue
Milano, via Rho
Salamanca, Avenida de Portugal
Milano, via Gluck
Milano, via Tellini
Milano, via Bronzino
1 anno fa ho iniziato questo blog con la settima casa nuova, e ora sto per traslocare nell’ottava. Tra l’abbandono della settima e l’ingresso nell’ottava passeranno però due mesi, e non chiedetemi perché, la vita a volte si inventa delle cose mostruose che neanche uno sceneggiatore pazzo potrebbe partorire.
Sono veramente stanca. Stanca di mettere la mia vita dentro scatole di cartone. Stanca che queste cose succedano a Milano nel periodo infuocato e maledetto tra fine luglio e inizio agosto. Cerco di fare le cose nel modo più ordinato possibile, mettendo una bella scritta su ogni scatola: scarpe inverno, libri arte piccolo formato, narrativa italiana, narrativa straniera, saggi arte, saggi fumetti, cucina e lingua straniera, attrezzi vari, manualistica, attrezzi cucina, rassegna stampa, progetti in corso, riviste arte, documenti, cartoleria, collanti, medium, matite colorate, elettricità e cavi, back up 2006-2007, barattoli, piumone + giacca nera, coltelli.
Avere tutto questo e molto altro in una stanza mi fa sempre impressione.
Smontare e trasportare il tecnigrafo è sempre un’impresa che mi fa capire che sì, sono ancora giovane e forte.
Alterno momenti di ordine e geometria chiudendo 10 scatole in 30 minuti a momenti di emotività sconnessa.
Ieri sera, infatti, sono arrivata al Pertugiodellalibreria, quello scomodo, dove metti solo cose che non guardi tutti i giorni .
Ho trovato la cartellina viola di plastica con l’elastico intitolata “LA CHIUSA”.
Lì c’è una bella fetta della vita pre-E-mail o not-only-E-mail. Ossia:
Lettere agli amici delle vacanze
Lettere di Paurosella dal kibbutz e da Londra o dal banco a fianco
Lettere di Elenia da Berlino
Lettere in italiano dolce e sconnesso di Cristina
Fumetti 4 mani (o due ani) con Mastropitbull
Lettere con l’indirizzo di NY o Salamanca
La cartolina Doktor-Paurosella-Borisoncione dalla Turchia coi sassi a forma di ciota mistica
Lettere d’amore ricevute
Lettere d’amore mai spedite
Lettere d’amore illustrate
Lettere d’amore di uno sconosciuto
Lettere del professore Guido Tona
E qui proprio ho iniziato a piangere.
Lo faccio sempre. Ad ogni trasloco.
Etichette: amarcord, feticismi, happy life
mercoledì, luglio 18, 2007
il bello di essere grandi
Non essere ancora vecchi
Andare a mangiare la pizza a Dalmine
Non essere più piccoli
Mangiare la pizza a Dalmine con GGluigi come se non fossero passati 7 anni dalla prima volta, due figli e 7 viaggi, 7 chili e 7 rughe, 7 malattie e 7 traslochi
Telefonare alla Marisa e ridere dello spazio-tempo
Poter ridere sguaiatamente
Poter ridere nonostante l’età
Raccontare la vita alle sorelle minori
Bere Fernet Menta come se fosse acqua
Fregarsene
Capire che quello che si sa è anche un regalo delle persone a cui si vuole bene
Avere delle patologie insondabili e incurabili ma buffissime
Andare in piscina non solo per piacere ma anche perchè inizia a cadere il culo
Ascoltare Paranoid esaltandosi
Ascoltare The man who sold the world e piangere sapendo che la Marisa sta facendo lo stesso
Lavorare con gli orari che si vuole anche se alla fine si rasentano le 18 ore
Poter raccontare storie lunghissime che iniziano 15 anni prima
Sapere che tra 10 anni smetterò di fumare
Mangiare la pizza a Dalmine e bere il Fenet Menta col ghiaccio mentre GGluigi dice “Io c’ero” al concerto di A man from Utopia
Pensare che per questo godrei nell'avere 13 anni in più
Guardare gli amici che fanno i figli
Parlare con qualcuno di Bulgakov senza che ti sputi in un occhio
Bere 2 caffè di fila
Scrivere su un blog e ricordare che i diari li hai bruciati al fiume in un momento di benessere
Essere cinici con eleganza senza sembrare arrabbiati
Prendersi in giro e ridimensionare
Pensare di essere grandi ma comunque piccoli
Godere senza sensi di colpa cattovalligiani
Mangiarsi ancora le unghie
Mettersi i tacchi per poi finire al Parco Lambro e sentirsi ridicoli
Dire che la scamorza affumicata è una cosa fine
Etichette: demasiado corazon, happy life
sabato, luglio 07, 2007
sui giri della vita
Quando ero piccola ero tediata dalle zie "vecchie" che avevano più o meno 30 anni. Non le sopportavo quando mi dicevano "che carina, quanto sei cresciuta, come stai bene con quel vestitino, ce l'hai il moroso, e pensare che eri piccola così...". Pensavo che sì, è ovvio, cresco, imparo delle cose. E mi sembrava che il problema fossero loro, che rimpiangevano la freschezza mentre io avrei solo avuto voglia di essere già una donna scafata e indipendente e avventurosa.
Sister4 ha compiuto i 18 anni, e io ero alla sua festa.
Un ragazzino coi capelli rossi la inseguiva, ma lei non gli dava corda. Lui allora si è messo a inseguirne un'altra. Anche questa l'ho già vista da qualche parte. Non so se prima o dopo, ma ho pensato (e forse detto) in ordine sparso queste cose:
ma io le cambiavo i pannolini!
è quasi alta come me!
ha un ragazzo!
le sono cresciute le tettine!
come le sta bene la gonna corta!
cazzo si trucca!
che carina!
mi sento una carampana...
Però una cosa è cambiata: io mi struggevo letteralmente per i Nirvana (e non per i balli latino americani), avevo delle camice a quadri (magari con sotto niente, ma MAI un top aderente), volevo bere birra (e non ginger e gazzosa), volevo fumare (non giocare a pallavolo).
Una cosa è certa: forse ci aspetta una nuova generazione più sana. Se io adesso ho 30 anni e ne dimostro 28, loro a 30 ne dimostreranno comunque 18. Oppure sembrano trentenni adesso?
Aspetterò la boa dei prossimi 12 anni e vi dirò.
Etichette: la scuola dei cinici
venerdì, giugno 29, 2007
chissà
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sabato, maggio 12, 2007
a volte mi sveglio ma resto in stand-by
La matrice di un biglietto del cinema fa capolino dalle pagine di un libro tascabile.
Il posacenere è vuoto ma la cenere è riuscita a riempire tutte le mondanature del cristallo che una volta, lasciato sotto la finestra, mandava in giro lampi di arcobaleno.
Le tapparelle sono abbassate, ma non troppo, la luce entra dai buchini e c’è fresco.
Un’impronta di piede nudo si riconosce nel sottile strato di polvere del pavimento.
Il set di puntali Bosch regge l’abat-jour rosso pallido.
Le piante di peperoncino hanno iniziato a buttare i primi fiori bianchi.
Un biglietto del treno giace svenuto sotto una scarpa.
Due tazzine con due fondi di caffè che non promettono alcun futuro sanno di essere state dimenticate.
Una sciarpa è stesa ad asciugare sul calorifero da quando, mesi fa, il riscaldamento era in funzione.
La lampadina pende triste dal soffitto e non ho ancora comprato un lampadario.
Le due ante dell’armadio non si chiudono bene.
Il martello nuovo ha una scritta che ne indica il peso: 400 grammi.
Il tavolo da disegno ha provato tutte le pendenze possibili ed ora mi guarda sicuro in tutti i suoi 25 gradi.
La pinza che non trovavo più occhieggia dal cassetto della biancheria.
I quadri dei miei amici non li ho ancora appesi, ma sono consultabili sopra la libreria.
Le due infradito sono lontane quanto due pugili agli angoli del ring.
Le altre scarpe sono appese ai chiodi dietro la porta.
Quante cose si vedono il sabato mattina da sotto le coperte, prima ancora di mettersi seduti.
Etichette: happy house
mercoledì, maggio 09, 2007
ilbarbettadimerda
La risposta non è ancora arrivata: in queste cose, sollevato il dubbio, raramente discende a terra. Mentre rifletto ripenso alla serata.
Inaugurazione con tutti i crismi compreso taglio del nastro, visita totale delle 52 stanze accompagnata dalla gallerista del mio cuore, scambi di numeri di telefono e chiaccherate coi colleghi, discreto prosecchino tra un piano e l’altro. Poi la cena.
Io stavo già per scappare, per timidezza o semplicemente voglia di un dopo-bolgia tranquillo, magari col fritto dell’egiziano, in bella compagnia. Adduco scuse ma si vede e vengo tacciata di orsite, almeno alle tue mostre!
E va ben. La bella compagnia si sposta verso il ristorante che poi scopro essere un concept-store (brutto nome che sta bene giusto alle puttanate). All’ingresso veniamo “accolti” dal buttafuori (d’ora in poi Ilbarbetttadimerda) che in quanto butta-fuori non è molto in grado di accogliere. Paghiamo PRIMA di entrare in sala (veramente signorile), ci sediamo su orribili sedie di design (probabilmente fatte dagli studenti dell’asilo di Mariano Comense) e ci vengono serviti nell’ordine:
quadratino di lasagna vegetariana 6x6 cm
3 fette trasparenti di carne acquosa con tortino di carciofi surgelati diametro 4 cm
fetta di torta gonfiata a margarina 5x4 cm
caffè al banco mentre sparecchiano.
Tutto freddo. Mentre ci diciamo che con quello che abbiamo pagato ci porteranno da bere, scopriamo che oltre alle 2 bottiglie permesse al nostro tavolo da 8 persone, bisogna pagare le altre.
Ovviamente, tra una portata e l’altra usciamo a fumare. Ilbarbetttadimerda ci ritira un gettone (quelli che l’avevano dimenticato al tavolo devono ripercorrere i 500 metri dall’uscita alla sala) e ci fa un timbro sulla mano. Siamo in discoteca? Qualcuno gli fa notare che usciamo solo dalla porta per poi rientrare da lì, che a Como alle 11 di sera sulla tangenziale non c’è la fila per entrare di straforo nel concept-store di minchia, e poi: anche se qualcuno entrasse, cosa potrebbe fare? Cibo non ce n’è, vino neppure.
Ilbarbetttadimerda risponde a monosillabi che senza gettone non può fare uscire, e se esci, senza timbro non rientri. Noi sbuffiamo, stiamo per innervosirci e soprattutto abbiamo fame. Sediamo il tutto con un bis di sizzini e parliamo incazzati sotto l’occhio vigile di Ilbarbetttadimerda che non ci molla. Decidiamo di rientrare. Ilbarbetttadimerda ci chiede se abbiamo il timbro. Noi la buttiamo sul ridere, facciamo delle citazioni tipo “Quanti siete? Cosa portate? Da dove venite?”, passiamo la soglia e ridiamo. Ilbarbetttadimerda dice di non scherzare che altrimenti chiama la sicurezza. Dentro la festa sta per iniziare, si odono le prime note di musica di merda e Ilbarbetttadimerda ondeggia e riprende il sorriso.
Chissà le sorti dell’arte che si decidono dentro, chissà che discorsi impegnati e che occasioni sprecate. Mostriamo il timbro, entriamo. La musica fa veramente schifo, e quindi in sintonia con il luogo. I colleghi e datori di lavoro ballano e si scosciano. Mostriamo il timbro e usciamo. Questo per un paio di volte, finchè esausti decidiamo di andare a prendere le borse e scappare. Riusciamo a superare ancora una volta Ilbarbetttadimerda e, dato che alla richiesta del timbro, esausti, non lo guardiamo neanche più in faccia, Ilbarbetttadimerda ci apostrofa con un “E almeno un sorriso, mi raccomando!”. Diventiamo viola, ci fumano le orecchie, facciamo progetti di furto e scasso alla casa di Ilbarbetttadimerda, torniamo all’uscita e questa volta per l’ultima volta, che poi si iniziano a lanciare sassi. Ilbarbetttadimerda ci dice “Uè, ciao, eh!”. Poi sottovoce ad un suo amico: “Certo che gli artisti sono proprio maleducati”. Noi ci giriamo. Siamo in sei. Abbiamo gli occhi di fuori dalla fame e dal nervoso. E allora ci scappa: “MA VAFFANCULO!” e giù a correre in macchina e scappare via dal concept-store, da Ilbarbetttadimerda e il suo auricolare, mentre dentro di noi sognamo un macello, con tante piastrelline bianche, interno giorno con neon, Ilbarbetttadimerda appeso a un gancio che urla come un maiale, noi che tagliamo dalla sua panza tante belle bistecchine, la macchina delle salsicce che cigola, piano sequenza con la faccia di Ilbarbetttadimerda morente e ognuno di noi, sazio finalmente.
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giovedì, aprile 19, 2007
la nuda verità
Ma la quintessenza dell'anima di tanti uomini mi è stata spiegata dal nipotino di 5 anni, in questa breve ma intensa comunicazione telefonica:
IO: Spero di poter venire presto a trovarti. Mi manchi tanto e ti penso sempre.
LUI: Lo so.
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martedì, aprile 03, 2007
post della malinconia
Hai vent’anni, fai le tue cazzate, studi, lavori, ti innamori, ti arrabbi, viaggi. Poi un giorno ti svegli, ne hai trenta, e non puoi tornare indietro. Probabilmente rifarei tutto, magari in ordine sparso, ma questo senso unico mi sembra una brutta bestia.
In questo istante sto provando un’incredibile empatia per quella mosca che continua a sbattere contro il vetro della finestra: tutte e due continuiamo a non capire che c’è qualcosa tra noi e la realtà.
Sono nel terzo giorno della sbornia, appunto. Dopo notti di euforia e passione panteistica verso la musica, gli amici, l’arte e la dedizione, la pelle e i capelli rossi, mi sveglio e penso di essermi accompagnata troppo spesso a uomini che pensano non ci siano donne poco affascinanti ma solo bicchieri di wodka troppo piccoli.
Questo è il post della malinconia di quando tutto era nuovo e fragrante.
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lunedì, marzo 19, 2007
sproloqui e pastis
C’era così tanta nebbia che mi sembrava di essere finita dentro un bicchiere di Pastis.
Oggi pioggia molesta, ma va bene, che poco freddo ci ha portato questo inverno, grazie all’effetto serra stimolato dall’abuso di lacca per capelli negli anni ’80.
Avevo anche la malinconia da Pastis, di quei pomeriggi caldi caldi e di un baretto con i tavoli all’aperto all’ombra di un alberello in un giardino improvvisato.
Questa notte s’è fatto un po’ tardi, ma ho imparato a giocare a poker. E allora, dato che troppi film mi faccio in testa la sera prima di addormentarmi, ho pensato che sarebbe bello rifare il viaggio de “La musica del caso”, ma dovrei fidanzarmi con un giocatore di poker professionista e fumare tante sigarette e dipingermi le unghie di rosso e costruire una città in miniatura o un muro in un prato. Mi sono svegliata con l’ormai abituale sensazione di vivere in un momento sbagliato e in un luogo che non mi è congeniale. Addirittura mi sembrava di essere più alta e che il mio corpo occupasse uno spazio sproporzionato rispetto a ieri. Dopo un paio di fermate del treno ho pensato di avere 30 anni davvero, e che il compleanno è passato ormai da un mese e non me ne sono resa conto. Mi accorgo sempre troppo tardi di quello che accade e il più delle volte riesco a far finta di niente. Mi fa impressione vedere le cose da fuori, e le poche volte che mi capita di essere lucida, lo sono davvero, in modo chirurgico. Arrivo in stazione, lavoro in studio un paio d’ore. Poi penso che me ne frego dei 30 anni, che non importa se piove.
Vado in un baretto a Brera, fingo un anniversario, fumo sigarette, prometto di non mangiarmi più le unghie e bevo un Pastis.
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giovedì, marzo 08, 2007
domenica, febbraio 18, 2007
una giornata qualsiasi
Marco cerca di dividere i suo quadri per la mostra in ONU, WALL STREET, RW&A, ma anche nelle sottocategorie FINITI, DA FINIRE, FOTOGRAFATI, IN CATALOGO. Alla fine li ha spostati tutti, e lo studio è cambiato completamente così come cambia la luce ad una latitudine diversa. Io mi affretto a misurare gli ultimi, alcuni li ha fatti fare con le misure in pollici, e quindi in centimetri non fanno cifra tonda. Poi torno al tavolo a finire di disegnare una carta da lucido che ho in sospeso da tempo. C’è un tale casino qui, che quasi non riesco più a lavorare in luoghi puliti, ordinati e silenziosi. La gatta Tinta passeggia sul mio disegno. La cosa bella delle zampe dei gatti è che sono sempre pulite. Al massimo hanno un po’ di polvere sui cuscinetti che si può levare con una passata di gomma. Andrea invece è allergico al pelo, continua a starnutire e stanotte dormirà da me. Io non riuscirò, so che russerà un sacco, ma spero mi regali un romantico paio di tappi per le orecchie.
Adesso sta per uscire, ha finito la colla, Marco gli urla di comprargli anche il bianco assoluto, già che c’è.
“Va bene. Quanto costa?”
“Non lo so. Ma ti do 50 euro e me ne devi riportare almeno 40.”
Squilla il telefono. Uff. sbuffiamo sempre quando suona il telefono.
È il signor ceramista, vuole che Marco vada a controllare la prima cottura della scultura. Nel frattempo suona anche il telefono di Andrea, lo cercano per un’intervista, e il mio, vogliono farmi fare una mostra a San Pellegrino Terme. Poi riattacca una suoneria con motivetto da stadio, è di Andrea, chiacchiera con la fidanzata un po’ sottovoce.
Iniziano a bussare alla porta, e a tutti viene una specie di crisi isterica: “Ma come si fa a lavorare così?”
Andrea esce alla ricerca della colla perfetta e del bianco assoluto. Io metto un caffè e mi fumo una sigaretta, fingendo una batteria scarica e si ritorna a lavorare tranquilli, mentre il fotografo Paolo, quello che bussava, entra e inizia a scaricare tutto il suo armamentario e sono baci e abbracci e chiacchiere piacevoli.
“Tu sei sempre quello che finisce i quadri mentre li fotografo!”
“Come ti sembrano?”
Nel frattempo ha già scattato una decina di volte, la sua velocità è impressionante.
Gli Smog tubano nelle casse.
PLIN
È arrivata una e-mail.
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giovedì, gennaio 25, 2007
gli ibernati e una sera da femmina
Prima tappa libreria, e ho inizato subito a sgodazzare, che ho trovato Fitzcarraldo nei reminders, ed ero felice proprio. Fitzcarraldo mi ricorda sempre l'amica Flo, baluardo degli sbattimenti incommensurabili da quando ha trascinato una lavatrice giù dalle scale.
Seconda tappa: invito a cena dell'amica L.C. Ho fatto la smargiassa e stavolta ho offerto io. Con lei si inizia sempre con discorsi superculturali, essendo lei anche la curatrice delle mie prolisseidi disegnative. Verso metà birra siamo già al pettegolezzo spinto e si arriva all'amaro parlando di maschi in modo molto romantico ma anche no.
Dopo il secondo Fernet invece, iniziamo a tirare a riva tutta la serata, coagulando le ore di chiacchericcio in inestimabili teorie, sicure di essere portatrici sane di verità ineffabili. Ieri sera è stata la volta della teoria dei maschi ibernati, mossa dal racconto di una telefonata di un vecchio amore, che non si spiegava perchè lavorassi tutti i giorni e pensava che non avessi ancora dato la tesi, dato che quando ci siamo visti 3 anni fa, la stavo per consegnare.
Sosteniamo che le femmine, alla fine, sono capaci di mandar giù, riescono a convertire in energia pulita anche le magagne più feroci, riescono ad astrarre le personalità dai contesti e notano le evoluzioni e i cambiamenti degli esseri umani a loro vicini.
I maschi, invece, si fermano al momento in cui hanno preso coscienza. Nel senso: ti hanno conosciuto in un modo? Ma come, sono passati solo dieci anni e hai già cambiato idea? Quando ti ho conosciuta non eri così. E' ovvio. Quando mi hai conosciuta ero anche alta 10 cm in meno. Ma come? Adesso lavori al computer? Certo, al bar dove ti portavo le birre non ne avevo bisogno. Non posso passare in quella via, lo sai che ci abita quella ragazza che mi ha lasciato 6 anni fa. Da qui "ibernati".
Si rideva tantissimo e alla fine ho pensato che la leggerezza fa bene, che ogni tanto bisogna fare il back up del passato e conservare, ma non davanti al naso tutti i giorni. Poi l'11 è passato e continueremo un'altra volta.
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giovedì, gennaio 04, 2007
martedì, gennaio 02, 2007
natalenatale
La settimana precedente alle vacanze è stata una sfilza di cene milanesi e si è abbattuta su di noi, perché poi per un po’ non ci si vede. Sì, ma gli amici cari e i loro affiliati non sono infiniti, quindi si è giocato a tetris incastrando 30 persone a 10 alla volta in ordine sparso nelle 4 case madri. Poi tanti baci e tanti saluti, oggi è il 2 e siam di nuovo qui, a tentare la cena di ritrovo. E i racconti delle famiglie (iniziati in realtà molto prima con la storia delle sorelle Chiappara, inquietanti zitelle sicule che hanno minato il tempo infantile dell’amico Fabrizio) ci seguiranno fino a febbraio.
Natale è passato e ho fatto tutto quello che si doveva fare.
Ho mangiato, andata in emo-core con mamma zie e sorelle, litigato col babbo, tutto come previsto, tranne un tocco di cinismo da parte mia. A fine pranzo (dopo l'emozione, la litigata, la pace, il dolce), ho detto scherzando che sembriamo la famiglia Addams, Mutter c'è rimasta un po' male ma io, davvero, stavo scoppiando. Per fortuna Sister4 si è messa a suonare al pianoforte la canzone della sigla, e Sister3 schioccava le dita a tempo. Nessuno sapeva il testo, ma ci siamo messi tutti a ridere. La cucina nostra è veramente zeppa di grassi, e ad ogni invitato è toccato, in varie forme e gradi di compostezza, il suo decimetro cubo di burro e il suo etto di colesterolo già pronto. Comunque penso che mangiare sia una delle cose più belle del mondo, e mangiare con tanta gente lo sia ancora di più. Cucinare per 20 implica un amore e un progetto che non tutti possono sostenere.
Ma dopo tutto, mi è parsa logica la passeggiata, se non fosse che poi ci ho preso un po’ la mano, e sono finita a scaprettare in mezzo alla neve. Contando che gli impianti sciistici stanno piangendo miseria quest’anno, posso dire che ero un bel po’ in alto, dato che la neve, a un certo punto, mi arrivava a mezza gamba. Pensavo e sognavo i miei pantaloni antivento e gli scarponi (lasciati miseramente a indurirsi nell’armadio a Milano) mentre con le Nike piatte e le braghe di tela arrancavo gli speroni di roccia e scivolavo di culo sull’orlo dei burroni. Perché in costa si gode meglio del panorama, di qua e di là. Folle di freddo in faccia e piedoni gelati, da tergo mi colse il
fantasma di Caspar David Friedrich e mi son messa a piangere, ma si gelavano le lacrime e pizzicavano di fronte a tanto bianco e freddo e purezza tutte lì davanti, fin dove si poteva vedere, fino all’inizio dell’Appennino e Milano da una parte, e alle Grandi Alpi dall’altra.
Totalmente sopraffatta dalle cose ovvie e grandi e indiscutibili e immanenti quali la natura e la bellezza, mi sono resa conto di quanto sian poca cosa le mie attuali abitudini e occupazioni, memore del fatto che tutta quella grandiosità era, fino ai 20 anni, la mia quotidianità. Anzi, ne facevo parte. In mezzo al bellissimo rumore della neve (che se ascolti bene puoi capire quanto è spessa) e un tramonto a 180 gradi da non riuscire a respirare, ho fatto grandi progetti per l’anno che arriva e un po’ di vaffanculo ai problemi che in realtà non lo sono. E poi il ritorno con Sister3 e abbiamo urlato un casino giù per i tornanti, che la sensazione di gridare tanto non ti sente nessuno è bellissima e catartica, anche se ha fatto tornare a galla una paranoia che mi ero dimenticata dall’adolescenza: e se parte la slavina?
Comunque a febbraio son 30 e pensieri folli se ne fanno sempre.
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lunedì, dicembre 04, 2006
rope on fire
I Lexotango sono un gruppo strano. Attrattori di folle dalle disparate provenienze e futuri composti, hanno riunificato il passato remoto in un tempo in levare che ci ha sedotti di nuovo: che abbiano inventato la macchina del tempo?
Io ero completamente stralunata, avete presente un dejà vu di quattro ore? È una cosa che può mandare fuori di testa e può far venire voglia di farsi accompagnare a casa da un vecchio fidanzato, mettere una maglietta a righe e ricominciare tutto da capo.
Oppure, nel caso le bolle spazio-temporali in cui si può fare quello che si vuole non esistano, la mattina dopo, può provocare benessere diffuso, riapertura dei pollini in disuso da tempo, e la coscienza che sì, la giovinezza è trascorsa in modo felice e sincero e con grande energia e la racconterò.
I Lexotango sono la corda del cerchio di fuoco degli affetti, che a volte si forma tra due punti a caso nella circonferenza dei piani di ognuno di noi.
E poi mi viene da piangere, guardo fuori dalla finestra, mi accendo una sigaretta.
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martedì, novembre 14, 2006
tornare da un tornado e guarire
Un po' di tempo fa avrei avuto un fondino di senso di colpa bergamasco, oggi penso solo a cosa non fare domani. Penso di essere guarita.
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giovedì, ottobre 12, 2006
mostre e mostri
Già già. Adesso lo dico. E' stato bello, bellissimo, che a un certo punto mi veniva da impazzire coome quando non sai se puoi reggere, c'erano gli amici da San Pellegrino e da Rotterdam, da Milano i cari quotidiani, da Seriate e da Palermo. Pure le Biotassine e la curatrice delle mie influenze che scrive e non si ferma più. Regali come fiori e cioccolatini e libri con dedica fanno piangere proprio tanto, e anche le sigarette nascosta sotto i ponteggi del cortile. Una bella festa di compleanno, per dire.
L'anziana Mutter pazza di Strega pazza stava sotto le sculture appese al soffitto e diceva che sì, questo è bello, ma la vita è fatta di tragedie. Beh, dato che i giorni prima dell'installazione si aggirava con un chitarrino e cantava, non mi stupisco più. Secondo me mi ha fatto il malocchio nel frattempo ma scommetto che gli amici caldi mi hanno già scongiurata.
Che bello sarebbe sempre così. Avevo un caldo tipo giacca a vento in estate. Che bello. Catatonia di ottobre.
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lunedì, settembre 25, 2006
venerdì, agosto 18, 2006
menù 17.08.2006
Bruschette pomodoro fresco
Sfoglie con crema di tonno
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Melanzane alla griglia
Insalatina riccia
Orate al forno con menta
Patate prezzemolate
Sugo di pomodoro
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Macedonia
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Pasticcini + champagne!
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Caffè a Brera
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Gita al Duomo
Ieri sera cena con un pezzo di famiglia. In otto col tavolo aperto nella saletta 3x2 di Via Bronzino. Una sedia portata dagli ospiti in multipla from Brembania.
Presenza richiesta alle ore 19.00. Arrivo alle ore 17.30. Maschi spediti a comprare l'acqua. Ragazzine spedite in giro d'esplorazione del quartiere. Io, Mummy e Tante zizzini e sfregamenti di cozze e risate a stanare i decibel nascosti nei nostri polmoni. A parlare dei nostri maschi e dei loro figli. I vicini si lamentano.
Sono belle queste storie ataviche delle femmine in cucina che ciarlano, anche se per me è una cosa ancora un po' esotica. Succede senza che te ne accorgi. Arriva un momento della tua vita in cui Mummy e Tante iniziano i discorsi con "Ormai sei grande, adesso te lo posso dire..." E si arriva ai segreti di stato intestini, che di solito comprendono un modo migliore per smacchiare i divani (che non ho),agli aborti nel 1943, perchè una delle Tante non presenti non si sia mai sposata, perchè Oncle faccia ancora figli con altra Tante nonostante l'età, addirittura che Zweiter Vetter non è in Russia a lavorare ma è "scomparso per quella merda di droga" e che altra Tante, così riservata, alla fine aveva amanti in riviera e una collezione di intimo in pizzo e ricami e gioielli da far impallidire la sposa di un petroliere. Mi da l'illusione che per un paio d'ore, quando voglio, posso credere di appartenere a un mondo normale e pulito composto da affetti di sangue. Ma poi tutto si smaterializza. Father urla a tavola e dice che l'ultima volta che ha mangiato l'orata era in viaggio di nozze, e scopre solo ieri sera che le cozze le compri vive (guarda nella bacinella col ghiaccio e sente dei rumori, una fa un piccolo schizzo d'acqua tipo pisciatina di neonato). Quindi aggiunge che adesso mangia solo pesce perchè ha dei problemi con lo zucchero nel sangue. Qualcosa non mi torna. Mi chiedo se da quando me ne sono andata di casa mangi bastoncini del capitano. Poi mi rammento delle trote nazionali in Brembania, e mi dico che va bene lo stesso, come sono diventata spocchiosa. Tante mi chiede un tiro di sigaretta, aspira e mi dice "Che buona, sai che sono sette anni che non fumo?" Mi riprendo celere il sizzino e finisco il vino prima che succeda qualcosa di irreparabile. Poi tutti fuori, in metropolitana, che mi sembra un film strano vedere la mia piccola e magra Mummy sul vagone fracassone e anche lei non capisce bene cosa ci fa lì, ha gli occhi stralunati, la testa da un'altra parte, ma poi mi guarda, ritorna con noi e mi sorride. Come vorrei che la mia semplice presenza la riporti a terra un po' più spesso. Mi sa che la devo rapire io prima che lo facciano gli alieni.
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venerdì, agosto 11, 2006
gluck si moltiplica come i gremlins?
Noi tutti -scommetto- adesso stiamo facendo i conti con i nostri dati anagrafici, calcolando le possibilità remote di avere anche noi un figlio, e cercando di capire alcuni perché a cui, ormai, non servono risposte.
Nino, infatti, se ne fotte: è lì che succhia da Elettrica e Landre ride.
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domenica, agosto 06, 2006
venere privata e musichine
Bello bello.
"Mai mai mai" è bellissima e proseguimento perfetto delle vicende di Gino e Pina, pugno nello stomaco le prove del suono con "L'uomo che amava mangiare da solo"... Insomma, loro sono proprio bravissimi e sono in tanti e suonano come una foresta tropicale. Qualcuno li ha definiti "lussuosi" io direi "lussureggianti".
Vale aveva una cravatta bellissima.
Ma tutto era partito da un campanello suonato mezz'ora prima causa travisamento mail che mi ha permesso di fiondarmi dopo due anni nella bella casa ordinata e accessoriata maniacal-chic di Gas. Veramente fuori luogo. Fuori tempo. Kebab. Tutto quello che ho detto o fatto è stato all'insegna dell'imbarazzo. Sono diventata sociopatica?
No, solo che ho fatto l'effetto di un meteorite, scagliato in mezzo a un mondo parallelo, con tutto il mio bel bagaglio di scorie radioattive di ricordi, sorelle troppo cresciute, datore di lavoro di 8 anni fa. Non voglio tornare indietro, sto andando di corsa avanti, ma mi dispiacerebbe perdere dei pezzi cari.
Forse non è il caso, che i pezzi cari ne hanno altri, e non si può avere tutto. Mi rendo conto che per qualcuno il passato è da tenere stretto e prezioso, per altri è da seppellire o al massimo da conviverci con educazione.
Comunque il meteorite e tutte le scorie si sono rivelati felici della serata, conclusasi all'urlo di "petting petting" e "siattol siattol", che a me e Gas ha fatto venire in mente "braxell", un capitolo del mondo parallelo di cui prima.
Spero in un concerto anche a Milano, potrebbero riempire un bel po'. Mi dispiace non lavorare più al Tunnel, che l'hanno venduto e ora ci fanno salsa e merengue, perchè ci sarebbero stati bene, magari coi Gotan project o i Montefiori a far loro da gruppo spalla! Nel caso, però, mi presenterò in incognito con una parrucca, occhiali e foulard.
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lunedì, luglio 31, 2006
le politiche dell'arte son fregnaccia
Lungi dal collegare i miei misfatti ai grandi problemi, tutto si somma e io sono incazzata. Essere giovani già mi da fastidio, che io son nata vecchia, vecchia dentro, e in più mi si costringe ad esserlo mentre mi si piglia a calci in faccia perchè, appunto, sono giovane. E quindi sfruttabile, in nome delle sante gavette che chissà come mai qualcuno, che di solito non ne ha bisogno, riesce pure a schivare; e quindi sorvolabile, che tanta ne devo fare ancora di strada prima di essere presa sul serio. E tutto mi sembra misero e meschino.
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lunedì, luglio 24, 2006
sabato, luglio 22, 2006
back up e i signori Paolini
Poi inizia l'autismo. I batch, gli scontorni, gli spilucchi, le scansioni, i testi, la correzione bozze, le traduzioni, montaggi pagine, conto fogli, sedicesimi e rilegature, bianchi e neri, quadricromie, prove stampa, verifica retini. E' incredibile quante cose possono succedere su una scrivania. Dopo un mese di clausura, finalmente, tutto diventa carta vera. E qui inizia la parte bellissima.
Parto col mio hd e vado a Mantova, dai signori stampatori, i signori Paolini.
Baci e abbracci, "è stata dura?" "eh... anche stavolta ce l'abbiamo fatta!". Attacco tutto, 5 macchine si agganciano e pare di vedere i rigonfiamenti nei cavi e tutto frizzica in stereofonia di fire wire. E la cara Cristina, che mi mette la tranquillità di un monaco zen, inizia a chiedere e fare e brigare. "Mmh... che bello questo!". Me lo dice sempre... Con lei qualsiasi difficoltà si riduce allo sbucciamento di una banana: "Tranquilla, poi lo sistemo io".
Poi il Capo mi vuole: è il signor Paolini patriarca che è un signore e mi chiama signorina. "Signorina Maria, venga qui che le faccio vedere una cosa". Io vado, usciamo dalla porticina dell'ufficio e mi porta nel paradiso della stampa. Il suo sommergibile Heidelberg sei colori si staglia controluce nel capannone e sembra pronto per Caccia a Ottobre Rosso. Nel mio feticismo ossessivo per questo genere di cose penso "Lui HA una Heidelberg esacromia, lui la POSSIEDE, è SUA, lui l'ha comprata -miliardi di lire-, lui la usa quando vuole, la SA USARE". Oltre che essere Capo, è anche Comandante e Capitano. Ma non è il sommergibile che mi vuol far vedere, e apre un cassetto. "Guardi cosa ho trovato, signorina Maria!" e mi mostra una carta bellissima, bianca come una sposa e lussuosa al tatto. Lui ha gli occhi innamorati, mi dice che si chiama Kiara, e convengo nel dire che è la carta più bella che io abbia mai toccato, che un libro con quella lo puoi fare anche vuoto, o al massimo di poesie. D'istinto la annuso, gli dico che è buona, che non ha chimica e lui conferma dicendomi che il bianco perfetto non è il bianco ottico ma il bianco di Kiara.
Adesso: trovatemi un'altra persona che ama così tanto quello fa. Io mi commuovo sempre un po' quando vado dal Capo e da Cristina, e penso che forse non farei i libri se non li dovessi stampare da loro, e chi mi dice che il lavoro è una cosa e la vita è un'altra, li mando a cagare, o forse no: mi sa che sono solo una maniaca fortunata.
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