martedì, giugno 27, 2006

faccende da meredith

Il perchè non lo conosco, ma ieri sera, mentre rifacevo il letto, canticchiavo Meredith Monk. Ero tutta presa infilare le lenzuola tra i bancalini di pino e iniziano a passarmi per la testa i suoi gorgheggi: aha ahh ah ah aheo. Mi accorgo che ci vado giù pesante solo quando mi suona il telefono e non riesco a dire pronto. Qualcuno mi può spiegare cos'è successo alla mia testa se mi ricordo a memoria una canzone di Meredith Monk dopo tre anni che non l'ascolto?

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lunedì, giugno 26, 2006

tapparella, miss bolivia e devendra banhart

Casa nuova inizia a prendere forma, come se fosse un calco delle mie esigenze: piscina da 50 metri… eh eh. Scherzo. Tra un po’mi starà addosso come un vestito di sartoria.
La coinquilina A. è bravissima. Oggi si è messa a sistemare la tapparella rotta dalla precedente Miss Bolivia. Miss Bolivia, dai racconti di A., si voleva sposare un giorno si e un giorno no, ma alla fine li mollava tutti. Infatti, quando ho preso possesso della mia stanza pisciando negli angolini, ho riesumato un sacco di riviste tipo “Sposabella”, “Sposami ora”, “Sposabellaebravachedicesempresi”. E giù una valanga di pizzi e trine da far venire l’allergia. Comunque, sempre dai racconti di A., pare che Miss Bolivia risolvesse i problemi di casa con lo stesso piglio deciso con cui cambiava idea sui fidanzati. Infatti, per tornare alla suddetta tapparella, si narra fosse bloccata e Miss Bolivia, tanto per essere sicuri che non tornasse giù all’improvviso tipo ghigliottina, ha tagliato la cinghia inchiodandone un estremo al muro.
A. invece, mettendo a repentaglio le sue ditina, ha armeggiato tutta mattina con la molla e il trapano per fare un foro nuovo alla lamierina. Così. Mi sono svegliata dopo tre ore di sonno col rumore del martello e il trapano. Eh, sì. Tre ore di sonno che sono tornata alle 5 di mattina dopo ore interminabili di autostrada Modena-Milano. Ma ne è valsa la pena. Da Mazzoli super mostra del bello bravo simpatico musico artista giovane tutto lui e solo lui Devendra Banhart. Mille disegni e disegnini di formine galleggianti nelle carte sapienti di vari odori e colori. Piccolini gioiellini un po’ joie de vivre. Mi sembravano, all’inizio, un po’ troppo fricchettoni e invece guarda lì, che le cose un po’ magiche ce le hai sempre nelle tasche interne, mai a portata di mano. E lui gentile, un po’ timido, tra il magretto e il maudì, si faceva coraggio nel bar a fianco con tequila e amichetti suonatori. E infatti dopo la mostra, super-cena all’aperto con tanto di argenteria, che a me faceva un po’ strano e chiedevo ad Amedeo che bicchiere si usava per primo, eccoli che vanno sul palchetto e strimpellano un po’. Sale una ragazzina a fianco di Devendra e inizia a tormentare la chitarra e canta un po’ male. Non che io sia un luminare della musica, ma quella proprio un po’ generava fastidio. Allora il caro Devendra la presenta dicendo che è la prima volta che suona in pubblico e a me? Un po’ mi arrabbio e penso che non la voglio sentire, poi mi è sembrata una cosa bella che lui, che ha tour ovunque e mostre, anzichè fare il figo faccio-tutto-io di fronte a Mazzoli e ospiti, abbia generosamente ceduto gli onori dell’esigua platea all’esordiente ragazzina. Anzi, mi sono appostata proprio in prima fila e alla fine proprio mi faceva dolcezza: lui le faceva sentire gli accordi e lei ci canticchiava sopra, come se fossero nel salottino di una sala prove. Ciò non toglie che lei fosse completamente ubriaca e che se io andassi a strimpellare a New York mi tirano i sassi. E comunque il mio mito di uomo resta sempre Vincent Gallo.
Il viaggio di ritorno è stato ribattezzato “speriamo che la società autostrade fallisca così non hanno più i soldi per fare lavori”. A Reggio chiusa. Prendiamo l’altra ma è più lunga, e la Via Emilia alle due di notte ci sembrava fattibile come un viaggio a dorso di un cammello in compagnia di Guccini. Bergamo-Milano chiusa. E allora giù, nel Roverino io, Nicola, Marco ed Elisa e raccontare porcate per stare svegli e delirare, senza aria condizionata e quindi il tifone interno di finestrini abbassati un po', che non ci si sentiva a due centimetri e quindi a gridare e leggere labiali. Poi si sa. Tre ore di sonno e tapparella.

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sabato, giugno 10, 2006

oggi ho comprato un neon

Stavo cercando una lampada per la mia nuova scrivania e allora sono andata nei magazzini degli artigiani che lavorano nel cortile. Mentre scendevo le scale, ho pensato che sono proprio fortunata, perchè ho una casa a Milano con sei finestre e neanche una si affaccia sulla strada, ma su questo operoso cortile un po’ buffo, pieno di laboratori e scaffali a cielo aperto ricolmi di tavoli, lampade, sanitari, giganteschi rocchetti di filo elettrico, mattoni e tubi. Sono entrata nel paradiso dell’elettricità che già mi veniva voglia di fare un impianto industriale nella mia casina, magari con un carro-ponte nel corridoio.
Stai tranquilla, mi sono detta.
-Buongiorno, scusi, avrei bisogno di una lampada da tavolo.
Mentre il ragazzo gentile mi spiega tutti i modelli che ha, con snodo o senza, a incandescenza, con luce blu, da lettura o da disegno, decorata o tecnica, lo vedo.
La timida barretta è lì, come un cucciolo al negozio di animali che mi guarda dallo scaffale. Piccolo, venti centimetri. Subito mi viene in mente la spada laser, che la forza sia con te, mi immagino nella mia stanzetta al buio, con l’accappatoio: whomhm whomhm.
-Voglio quello.
-Il neon?
-Sì.
Sono già pazza di lui.

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