sabato, aprile 22, 2006

pensare di essere quattro

Vorrei essere quattro persone.
Ho sempre mille cose da fare, che si accavallano come gli incisivi di mio cugino alle medie.
La cosa sconvolgente è che nessuna di queste è in qualche modo redditizia, altrimenti avrei dei dipendenti.
Chissà se un giorno smetterò di progettare mulini a vento.
Tutto si affastella nell'angolo formato dalle pareti di cemento armato di due parole: ULTIMO GIORNO.
Vorrei essere quattro e io essere quella nel giorno di riposo.
Ma oggi c'era un sole tiepido di primavera precoce, per Milano.
E in questa sacca d'aria nel lato interno del vento ho pensato di essere zero coagulato nei muri, nel selciato, nei pollini nuovi, nei raggi vorticanti della mia bicicletta.
quattro per zero fa zero, e così mi sento al sicuro.

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sabato, aprile 01, 2006

farina

Mi ricordo le impronte di farina. Tutte le mattine, durante la scuola elementare, percorrevo a piedi il breve tratto di strada che separava la piccola casa dove vivevamo in sei dalla fermata dell'autobus che avrebbe portato a scuola me e le mie tre sorelle in ordine di altezza. Passavamo davanti all'edicola, alla merceria e al calzolaio. Arrivate davanti al fornaio, una delle piccole buttava il naso dentro le vetrine, e Maia, la figlia del panettiere, ci raggiungeva fuori insieme al profumo di pane. Io, la più grande, restavo un po' indietro, per poter guardare tutto questo mio piccolo esercito di codini e cartelle. Le guardavo scambiarsi occhiate e segreti possibili solo in quei due minuti e in quel tratto di strada. Ma soprattutto guardavo il marciapiede, gli stivaletti invernali minuscoli e le prurignose calze di lana di svariati punti dritti e rovesci in combinazioni infinite e frattali. Mentre le mie sorelle camminavano senza lasciare segno tangibile del loro passaggio, Maia, la figlia del fornaio, segnava il marciapiede nero con piccole impronte bianche.

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